Punti di vista da un altro pianeta

venerdì 18 novembre 2011

La ri(e)voluzione della specie

L'altro aspetto (forse il peggiore di tutti) che penalizza la Filosofia della Decrescita è il suo essere in controtendenza rispetto alle inclinazioni (animali) insite nella natura umana. Difatti come non riconoscere che queste ultime sono quelle maggiormente assecondate dal sistema ultraliberista dell'economia di mercato, dello sviluppo, del profitto, della ricchezza oltre misura, dell'iperbenessere e del Tutto-Intorno-A-Te? Come può dunque, in condizioni più o meno normali, la decrescita competere con un sistema che, seppure mostrando preoccupanti segni di cedimento, riesce ancora (almeno nel breve o brevissimo periodo) a propinare con una qualche vaga credibilità, complice il sistema autoreferenziale dei media, miraggi luccicanti di un futuro fatto di automobili volanti, divani antigravitazionali, merendine neurotoniche, televisioni inebrianti e biancheria intima autocarrozzante?

Ma quel che è peggio, non è tanto il fatto che la decrescita predichi una sobrietà e una lungimiranza a un mondo in cui la sobrietà è stata gettata a marcire negli abissi fetidi delle discariche di rifiuti del Terzo Mondo, e la lungimiranza è stata svenduta alle compagnie che sfruttano e vessano i loro dipendenti (anche minorenni) rendendoli di fatto gli schiavi del nuovo millennio. No. Il peggio è il fatto che la decrescita richiede impegno, attività e partecipazione. La decrescita impone all'individuo di tornare innanzitutto a essere cittadino e dunque individuo responsabile che fa parte di una comunità che potrà avere un futuro non tanto a partire dalle iniziative individualistiche, quanto dalle scelte condivise. La decrescita sollecita il singolo ad alzarsi dalla comoda poltrona di una vita fatta di abbonamenti e punti premio, di partite di calcio e di grandi fratelli, e di fare propria la lungimiranza di pensare che il futuro proprio e dei propri figli stavolta dipende solo e soltanto, più di ogni altra cosa, da quello che farà lui oggi.

La decrescita chiede innanzitutto all'individuo di lasciare da parte le pantofole e mettersi in marcia per farsi parte attiva del cambiamento, perché è da lì che tutto deve cominciare. Quando si parla di decrescita, il cittadino deve smetterla di demandare il suo futuro alla X su una scheda elettorale, pensando di aver così esaurito il suo compito all'interno della comunità: la politica non ha mai aggiustato le cose (a meno - forse - di non aver toccato veramente il fondo) e tantomeno potrà farlo oggi (a meno - forse - di non toccare veramente il fondo). Ed è da questo punto di vista che il cambiamento della decrescita può davvero essere chiamato "rivoluzione", l'unica auspicabile, l'unica pacifica, l'unica possibile, ma solo e soltanto dentro una condivisione il più allargata possibile. Perché il cambiamento invocato dalla "decrescita serena" chiede alle persone di rimboccarsi le maniche e di diventare, a tutti i livelli, ciascuno nel suo piccolo ambito, ciascuno con il suo impegno, ciascuno con il suo esempio, uno che ci mette del suo, uno che agisce per cambiare le cose, dunque - di fatto - un rivoluzionario.

La difficoltà (e parte della mia mancanza di ottimismo a riguardo, o forse dovrei chiamarlo semplicemente realismo?) risiede nel fatto che se una volta bastava una sola, grande personalità rivoluzionaria per coinvolgere la massa nell'inseguimento di un ideale forte di cambiamento, oggi la rivoluzione della decrescita funzionerà solo se ciascuno si farà rivoluzionario nella consapevolezza consolatoria che, mal che vada, la raggiunta maggiore sostenibilità della propria vita gli potrà essere motivo di salvezza se (quando?) il sistema crollerà imponendo comunque con la forza (ovvero tutta d'un colpo) quella medesima decrescita che la comunità non avrà saputo scegliersi in maniera ragionevole e programmata.

La Filosofia della Decrescita chiede dunque all'uomo di fare qualcosa di equivalente a un vero e proprio salto evolutivo di pensiero, un salto che nell'azione sarà capace di premiarlo in termini di selezione naturale e dunque in termini di maggiori capacità di sopravvivenza in quello che sarà l'ambiente sociale di domani e, soprattutto, di maggiore felicità.

Voi la state prendendo la rincorsa?

/fine (almeno per ora)

7 commenti:

  1. Ma gli animali (eccetto in alcuni casi le pantegane) non sono mica così stupidi... Noi siamo appena diventati 7 miliardi, con tutti i paesi più malridotti del mondo a CONTENDERSI il magnifico primato di aver fatto nascere il primate col numero tondo, invece di fare a scaricabarile per evitare questa (simbolica) vergogna...
    Per me l'unico dubbio è se l'uomo avrà la compiacenza di estinguersi per i cazzi suoi lasciando ad altre forme di vita qualche briciolo di aria e acqua per ricominciare, o se porterà alla catastrofe totale l'intero pianeta.
    A meno che qualcosa (ma cosa? magari la genetica nelle mani delle persone giuste, e non dei maiali schiavisti?) non ci regali davvero l'Ubermensch, l'Oltreuomo.
    Ma temo che a questo punto non ci crederebbe più nemmeno Nietzsche...

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  2. Avevo già letto qualcosa in proposito. E mi sembrano considerazioni molto importanti.

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  3. a piccoli passi, mi sono messa in moto...

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  4. @Zio Scriba: paradossalmente (ma anche ovviamente) la stupidità dell'uomo è introdotta dalla sua intelligenza, ovvero dalla mancanza di essa. Qui l'evoluzione richiesta è - naturalmente - di tipo intellettuale e non genetico. E qui entra in campo il pessimismo. Ma siccome il pessimismo alimenta la rinuncia, mi sforzo di non esserlo.

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  5. @Adriano: è vero. Sono considerazioni fondamentali, oggi, ogni volta che vogliamo provare a discutere (sul serio) di "cambiamento".

    @Hob03: ... e l'importante è non fermarsi mai.

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  6. L' uomo si è evoluto geneticamente in base a condizioni climatiche e soprattutto culturali.
    L' evoluzione intellettuale diventa arretratezza quando lasciamo culturalmente indietro tutti i popoli di cui non abbiamo bisogno.
    E' la mentalità errata che porta ad una errata evoluzione.
    Ho come l' impressione che se in passato siamo passati da più homo, ad un unico homo (sapiens),
    ora stiamo regredendo riformando più tipi di esseri umani.

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  7. @Lapenna Daniele: l'evoluzione darwiniana (quindi biologica/genetica) è promossa dalla maggiore adattabilità delle specie all'ambiente. Le specie che sviluppano caratteristiche che le agevolano nella sopravvivenza rispetto al loro habitat, sopravviveranno e si riprodurranno più facilmente e quindi tenderanno a predominare, rispetto agli individui che non svilupperanno quelle caratteristiche. Non ci sono aspetti propriamente culturali. Difatti molti si chiedono se i principi dell'evoluzione della specie umana (intesa sempre dawinianamente) siano venuti meno nel momento in cui l'intelligenza ha iniziato a essere usata per far sì che l'uomo si adattasse meglio l'ambiente in maniera "artificiale".

    In genere i popoli di cui l'homo sapiens non ha avuto bisogno non li ha lasciati indietro, li ha sterminati. Quelli invece di cui ha avuto bisogno, li ha resi schiavi. E questo è stato il risultato dell'intelligenza messa al servizio degli istinti animali di predominio.

    L'evoluzione intellettuale diventa arretratezza nel momento in cui non è supportata da un'adeguato supporto culturale (morale) che dica all'uomo come usare l'intelligenza che ha. E' il concetto di "civilità".

    Il discorso sui "più tipi di esseri umani" francamente non lo afferro.

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